domenica 14 settembre 2008

Gabriele D'Annunzio


Autunno

Autunno, che negli occhi suoi specchiasti
e nel mar taciturno il tuo fulvo oro
tutte le acque un immobile tesoro
parvero, e gli occhi più del mare vasti ,

Autunno, io non sentii mai così forte
la tristezza che tu solo diffondi
quante di me ne' tuoi boschi profondi
son cose morte tra le foglie morte!

come ieri. Fu ieri la suprema
tristezza e fu l'amor supremo. Ah mai,
ne l'ore più segrete, mai l'amai
come ieri. Ancor l'anima ne trema.

Ella taceva, chiusa ne la nera
tunica dove sparsi erano fiori
pallidi, Autunno, come i tuoi che indori
sul vano stelo; e, china a la ringhiera,

guardava il golfo solitario, china
come colei che un peso immane aggrava.
Ombra de la sua fronte! O non guardava
forse dentro di sé la sua ruina?

Forse. Non domandai. Ma così piena-
mente a lei rispondean tutte le cose
visibili, apparenze dolorose
d'anime involte ne la stessa pena,

che io credetti vedere il suo dolore
in quelle forme, vivere in un mondo
espresso intero dal suo cuor profondo,
irradiato da quel solo cuore,

e fu per me ciascuna forma un segno
che svelava un mistero, quasi un muto
verbo, e più nulla fu disconosciuto,
anche per me, ne l'infinito regno.

Gabriele D'Annunzio

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