Giorgio de Chirico (Volos, 23 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978) è stato un pittore italiano, principale esponente della corrente artistica della pittura metafisica. Giorgio de Chirico nasce da una famiglia nobile di lingua italiana: il padre Evaristo, ingegnere delle ferrovie, costruì la prima rete ferroviaria in Bulgaria ed in Grecia, la madre Gemma Cervetto era una Signora della buona borghesia genovese. Nel 1891 nella stessa città nasce il fratello Andrea Alberto, che assumerà dal 1914 lo pseudonimo di Alberto Savinio per la sua attività di musicista, letterato e pittore. Più tardi mentre Alberto studiava pianoforte, Giorgio si iscriveva al Politecnico di Atene per intraprendere lo studio della pittura. I due fratelli erano molto uniti e si scambiavano le proprie conoscenze. Intorno al 1909 si comincia a delineare la poetica della metafisica: arte capace di governare le emozioni e trasformare l'inconscio. Nel 1911 de Chirico raggiunge il fratello Alberto a Parigi dove conosce i principali artisti dell'epoca, comincia quindi a dipingere quadri con uno stile più sicuro. Subisce l’influenza di Gauguin da cui prendono forma le prime rappresentazioni delle piazze d’Italia. Tra il 1912 e il 1913 la sua fama si propaga, anche se ancora non ottiene un adeguato successo economico. In questo periodo comincia a dipingere i suoi primi manichini. Negli anni Parigini Giorgio dipinge alcune delle opere pittoriche fondamentali per il ventesimo secolo. Allo scoppio della prima guerra mondiale i fratelli de Chirico si arruolano volontari e vengono inviati a Ferrara. Dopo un primo periodo di disorientamento dovuto al cambiamento di città, Giorgio rinnova la propria pittura, non dipinge più grandi piazze assolate ma nature morte con simboli geometrici, biscotti e pani. Negli anni cinquanta la sua pittura è caratterizzata dai suoi autoritratti in costume di tipo barocco e le vedute di Venezia. Muore a Roma il 20 novembre del 1978. L'attività artistica « Se durante la visita a un museo di scultura antica entriamo in una sala deserta, ci capita spesso che le statue ci appaiono sotto un aspetto nuovo. La statua eretta su di un palazzo o un tempio, ovvero al centro di un giardino o di una pubblica piazza, ci si presenta sotto diversi aspetti metafisici. Nel caso del palazzo, dove si staglia contro il cielo meridionale, essa ha qualcosa di omerico, un piacere severo e distaccato, con una punta di malinconia. Sulla piazza ha sempre un aspetto eccezionale, soprattutto se poggia su un piedestallo basso, in modo che sembri confondersi con la folla dei passanti, coinvolta nel ritmo della vita cittadina di tutti i giorni. Nel museo assume un aspetto ancora differente: ci colpisce per quel che ha di irreale. È già stato osservato più di una volta l'aspetto curioso che riescono ad acquistare letti, armadi, specchiere, divani, tavoli, quando ce li troviamo improvvisamente dinnanzi sulla strada, in uno scenario nel quale non siamo abituati a vederli: come accade in occasione di un trasloco, oppure in certi quartieri dove mercanti e rivenditori espongono fuori dalla porta, sul marciapiede, i pezzi principali della loro mercanzia. Tutti questi mobili ci appaiono sotto una luce nuova, raccolti in una strana solitudine: una profonda intimità nasce tra loro, e si direbbe che un misterioso senso di felicità serpeggi in questo spazio ristretto da loro occupato sul marciapiede, nel bel mezzo della vita animata della città e del continuo andirivieni della gente; un'immensa e strana felicità si sprigiona in quest'isola benedetta e misteriosa contro cui si scatenerebbero invano i flutti strepitosi dell'oceano in tempesta. I mobili sottratti all'atmosfera che regna nelle nostre case ed esposti all'aperto suscitano in noi un'emozione che ci fa vedere anche la strada sotto una luce nuova. Una profonda impressione ci possono suscitare anche dei mobili disposti in un paesaggio deserto. Immaginiamoci una poltrona, un divano, delle seggiole, radunate in una piana della Grecia, deserta e ricoperta di rovine, oppure nelle prateria anonime della lontana America. Per contrasto anche l'ambiente naturale tutt'intorno assume un aspetto prima sconosciuto. » La migliore produzione pittorica di de Chirico è avvenuta tra il 1909 e il 1919, nel periodo della invenzione della pittura metafisica: i quadri di questo periodo sono memorabili per le pose e per gli atteggiamenti evocati dalle nitide immagini. All'inizio di questo periodo, i suoi soggetti erano ispirati dalla luce del giorno luminosa delle città mediterranee, ma ha rivolto gradualmente la sua attenzione agli studi su architetture classiche. Mentre era ricoverato all'ospedale militare di Ferrara nel 1917, de Chirico conobbe il pittore futurista Carlo Carrà, con cui iniziò il percorso che lo portò a perfezionare i canoni della pittura metafisica: a partire dal 1920 tali teorizzazioni furono divulgate dalle pagine della rivista "Pittura metafisica". Le opere realizzate dal 1915 al 1925 sono caratterizzate dalla ricorrenza di architetture essenziali, proposte in prospettive non realistiche, immerse in un clima magico e misterioso, e dall'assenza di figure umane. Questa pittura sarà ispiratrice di architetture reali realizzate nelle Città di fondazione di epoca fascista, dove il Razionalismo Italiano, accanto a strutture razionaliste lavorerà anche su forme, spazi e particolari architettonici metafisici.(Portolago, Sabaudia ect.). Nei vari Interni metafisici dipinti in quegli anni oggetti totalmente incongrui rispetto al contesto (ad esempio una barca a remi in un salotto) vengono rappresentati con una minuzia ossessiva, una definizione tanto precisa da sortire un effetto contrario a quello del realismo. Compare in questo periodo anche il tema archeologico, un omaggio alla classicità reinventata però in modo inquietante: ne sono noti esempi Ettore e Andromaca (1917) e Ville romane. La figura del manichino, simbolo dell'uomo-automa contemporaneo (Il grande metafisico, 1917), gli fu invece ispirata dall'"uomo senza volto", personaggio di un dramma del fratello Alberto Savinio, pittore e scrittore. In seguito, de Chirico collaborò alla rivista Valori plastici, che teorizzava una rivisitazione completa dell'arte italiana, e partecipò all'esposizione di Berlino del 1921. Ebbe un periodo di contatto con il surrealismo, con cui espose a Parigi nel 1925: le sue opere successive si segnalano per il virtuosismo tecnico e rappresentano un tributo e un ringraziamento al periodo barocco. Nel 1949-1950, de Chirico aderì al progetto della importante collezione Verzocchi (attualmente conservata presso la Pinacoteca civica di Forlì), inviando, oltre ad un autoritratto, l'opera "Forgia di Vulcano". De Chirico fu anche incisore e scenografo. La datazione e l'attribuzione di alcuni suoi dipinti è assai ardua, perché l'artista stesso produsse nel secondo dopoguerra repliche dei suoi capolavori del periodo metafisico. De Chirico scrittore Giorgio de Chirico fu anche autore di scritti teorici, memorie autobiografiche, raccontini e di una vera e propria opera letteraria di una certa importanza: L'Hebdomeros (Ebdomero). Uscita nel 1929, anni in cui il classicismo è nell'aria, imposto dal "Ritorno all'ordine" dell'epoca fascista, caldeggiato anche da riviste come "La Ronda" e "Valori Plastici" (De Chirico concluderà la sua opera con la formula "Pittore classicus sum") è un libro che si presenta come romanzo ma in realtà è un tipo di narrazione indefinibile: senza una storia riconoscibile né una trama, come una sorta di ininterrotta scenografia teatrale. È un misto volutamente nebuloso, senza nessuna coordinata spazio-temporale in cui si affastellano figure senza ruolo determinato come gladiatori, generali, centauri, pastori... in un insieme di sogni, ricordi poco fedeli, suggestioni ipnagogiche, miti e riminiscenze che sono nient'altro che echi della sua pittura. Anche i luoghi sono quelli metafisici dei suoi quadri, che si spostano naturalmente nella loro innaturalezza (come in un sogno). Ma cosa manca a De Chirico per essere un vero e proprio surrealista? Manca il gioco disinteressato: l'autore è troppo impegnato a costruire il suo alter-ego, capace di portare con sé il suo metodo. Se Tommaso Landolfi, surrealista suo contemporaneo scriveva che il surrealista dovesse scagliare la pietra senza ritirare la mano, ma mostrandola intenta ad altro, De Chirico è troppo intento a mostrare la sua di "Pictor Optimus". Bibliografia * Piero Adorno, L'arte italiana. D'Anna, 1986 * Paolo Baldacci, DE CHIRICO 1888-1919 La metafisica. Leonardo Arte, 1997 * Claudio Crescentini, "G. de Chirico. Nulla Sine Tragoedia Gloria", Atti del Convegno Europeo, Maschietto ed., Roma/Firenze 2002. |
lunedì 3 agosto 2009
Giorgio de Chirico
domenica 31 maggio 2009
Pablo Neruda
Se saprai starmi vicino, e potremo essere diversi, se il sole illuminerà entrambi
senza che le nostre ombre si sovrappongano, se riusciremo ad essere "noi" in mezzo al mondo
e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere. Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo
e non il ricordo di come eravamo, se sapremo darci l'un l'altro senza sapere chi sarà il primo e chi l'ultimo
se il tuo corpo canterà con il mio perché insieme è gioia... Allora sarà amore e non sarà stato vano aspettarsi tanto.
Mare
Come il mare
in perenne movimento
srotola nel rtmico fragor dell'onda
l'estasi palpitante d'un respiro d'universo
cosi il mio amor per te non ha confini....
E non so amarti in nessun altro modo
che rannicchiata qui
nella mia timida apprensione
quando il canto del silenzio prende vita
nella notte e innanzi a me si riflette
il luccicchio di mille soli...
Mentre conto attimi ormai andati via
salir sulla soglia degli occhi
quasi una scia a sussurar il tuo nome
per perdersi poi dietro ai cunicoli del cuore
mettendo l'ali con la nascita del sole
E sognandoti amor mio
or si delizia l'alma mia del tuo profumo
perchè tu sei quel mar che accarezza la mia spiaggia
con un lento moto circolare al chiar di luna ...
-Inizio senza fine
aroma unico e diverso del mio giorno
finchè avro' appena un fil di fiato- in questo corpo.
lunedì 16 febbraio 2009
William Adolphe Bouguereau
William Adolphe Bouguereau
William-Adolphe Bouguereau (November 30, 1825 – August 19, 1905) was a French academic painter. Bouguereau was a staunch traditionalist whose realistic genre paintings and mythological themes were modern interpretations of Classical subjects with a heavy emphasis on the female human body. Although he created an idealized world, his almost photo-realistic style was popular with rich art patrons. He was very famous in his time but today his subject matter and technique receive relatively little attention compared to the popularity of the Impressionists.
William-Adolphe Bouguereau was born in La Rochelle, France on November 30, 1825, into a family of wine and olive oil merchants. He seemed destined to join the family business but for the intervention of his uncle Eugène, a curate, who taught him classical and biblical subjects, and arranged for Bouguereau to go to high school. Bouguereau showed artistic talent early on and his father was convinced by a client to send him to the École des Beaux-Arts in Bordeaux, where he won first prize in figure painting for a depiction of Saint Roch. To earn extra money, he designed labels for jams and preserves. Through his uncle, Bouguereau was given a commission to paint portraits of parishioners, and when his aunt matched the sum he earned, Bouguereau went to Paris and became a student at the École des Beaux-Arts. To supplement his formal training in drawing, he attended anatomical dissections and studied historical costumes and archeology. He was admitted to the studio of François-Edouard Picot, where he studied painting in the academic style. Academic painting placed the highest status on historical and mythological subjects and Bouguereau won the coveted Prix de Rome in 1850, with his Zenobia Found by Shepherds on the Banks of the Araxes. His reward was a stay at the Villa Medici in Rome, Italy, where in addition to formal lessons he was able to study first-hand the Renaissance artists and their masterpieces.
Bouguereau, completely in tune with the traditional Academic style, exhibited at the annual exhibitions of the Paris Salon for his entire working life.
An early reviewer stated, “M. Bouguereau has a natural instinct and knowledge of contour. The eurythmie of the human body preoccupies him, and in recalling the happy results which, in this genre, the ancients and the artists of the sixteenth century arrived at, one can only congratulate M. Bouguereau in attempting to follow in their footsteps…Raphael was inspired by the ancients…and no one accused him of not being original.”
Raphael was a favorite of Bouguereau and he took this review as a high compliment. He had fulfilled one of the requirements of the Prix de Rome by completing a old-master copy of Raphael’s The Triumph of Galatea. In many of his works, he followed the same classical approach to composition, form, and subject matter.
In 1856, he married Marie-Nelly Monchablon and subsequently had five children. By the late 1850s, he made strong connections with art dealers, particularly Paul Durand-Ruel (later the champion of the Impressionists), who helped clients buy paintings from artists who exhibited at the Salons. The Salons annually drew over 300,000 people, thereby providing valuable exposure to exhibited artists. Bouguereau’s fame extended to England by the 1860s and then he bought a large house and studio in Montparnasse with his growing income.
Bouguereau was a staunch traditionalist whose realistic genre paintings and mythological themes were modern interpretations of Classical subjects—both pagan and Christian—with a heavy concentration on the female human body. Although he created an idealized world, his almost photo-realistic style brought to life his goddesses, nymphs, bathers, shepherdesses, and madonnas in a way which was very appealing to rich art patrons of his time. Some critics, however, preferred the honesty of Jean-François Millet’s truer-to-life depiction of hard-working farmers and laborers.
Bouguereau employed traditional methods of working up a painting, including detailed pencil studies and oil sketches, and his careful method resulted in a pleasing and accurate rendering of the human form. His painting of skin, hands, and feet was particularly admired. He also used some of the religious and erotic symbolism of the Old Masters, such as the “broken pitcher” which connoted lost innocence.
One of the rewards of staying within the Academic style and doing well in the Salons was receiving commissions to decorate private houses, public buildings, and churches. As was typical of these commissions, sometimes Bouguereau would paint in his own style, and other times he had to conform to an existing group style. Early on, Bouguereau was commissioned in all three venues, which added enormously to his prestige and fame. He also made reductions of his public paintings for sale to patrons, of which The Annunciation (1888) is an example. He was also a successful portrait painter though many of his paintings of wealthy patrons still remain in private hands.
Bouguereau steadily gained the honors of the Academy, reaching Life Member in 1876, and Commander of the Legion of Honor and Grand Medal of Honor in 1885. He began to teach drawing at the Académie Julian in 1875, a co-ed art institution independent of the École des Beaux-Arts, with no entrance exams and with nominal fees.
In 1877, both his wife and infant son died. At a rather advanced age, Bouguereau was married for the second time in 1896, to fellow artist Elizabeth Jane Gardner Bouguereau, one of his pupils. He also used his influence to open many French art institutions to women for the first time, including the Académie française.
Near the end of his life he described his love of his art, "Each day I go to my studio full of joy; in the evening when obliged to stop because of darkness I can scarcely wait for the next morning to come…if I cannot give myself to my dear painting I am miserable". He painted eight hundred and twenty-six paintings.
Bouguereau died in La Rochelle at age 80 from heart disease.